Il percorso: provincia di Trieste

Saline di Sicciole


Lungo la breve costa slovena esistono pochissimi ambienti umidi e paludosi accanto alle foci dei brevi corsi d'acqua istriani. Un tempo ne esistevano in numero maggiore, in quanto le foci...

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Saline di Sicciole


Lungo la breve costa slovena esistono pochissimi ambienti umidi e paludosi accanto alle foci dei brevi corsi d'acqua istriani. Un tempo ne esistevano in numero maggiore, in quanto le foci venivano trasformate in saline, che si trovavano ai margini delle città costiere. Tutta l'area delle saline di Sicciole (in sloveno Secoveljske soline), l'ambiente umido di maggiore estensione della Slovenia con i suoi 650 ettari, è stata dichiarata parco naturale nel 2001 e oggi comprende anche un centro visitatori e un museo che illustra sia l'aspetto storico sia quello naturalistico di questa zona.
Le saline sono una realtà molto antica: erano infatti già sfruttate dai romani, e nel Medioevo (la prima citazione risale al 1139) divennero una realtà importante. Pirano e la vicina Strugnano rifornivano di sale, una merce importantissima in passato, la Repubblica di Venezia prima e l'Impero Austro-Ungarico dopo.
L'estensione e lo sviluppo tecnologico delle saline, sono stati contraddistinti da alcuni momenti fondamentali, l'ultimo dei quali avvenne alla fine degli anni '60, quando nella parte meridionale delle saline di Sicciole, chiamata Fontanigge, fu interrotta la produzione di sale. L'area abbandonata, è stata trasformata dalla natura in diversi biotopi, più o meno salati, che si intrecciano e si integrano in un ecosistema unico e delicatissimo nel quale solo poche piante rare si adattano a vivere: il finocchio di mare, la salicornia e l'armeria dalle foglie piccole. Questa specie di strana laguna costituisce, invece, un habitat perfetto per molte specie di uccelli che qui nidificano e svernano grazie al clima sub-mediterraneo: il fratino, il cavaliere d'Italia, la sterna, il fraticello, l'airone bianco, il gabbiano corallino.
L'altra zona delle saline, denominata Leira, è ancora in uso e qui l'intera produzione di sale, il cui processo di estrazione tradizionale è immutato da 700 anni, è affidata al duro lavoro dei "salinari", intere famiglie che si occupano della preparazione delle saline e di tutte le fasi di lavorazione del sale, dall'evaporazione alla cristallizzazione, che si eseguono con l'aiuto di pochi utensili, tutti azionati a mano: dalle chiuse in legno alle speciali vanghe e i rastrelli (gaveri) usati nelle vasche.
L'afflusso controllato di acqua di mare e acqua dolce tramite le chiuse mantiene una salinità ottimale: questo, insieme al sole e al vento dell'estate, permette l'evaporazione e l'affioramento in superficie del pregiatissimo "fior di sale", mentre una volta convogliata nelle vasche di cristallizzazione questa miscela di acqua si trasformerà in cristalli di sale.
All'interno del parco si trova anche il Museo dei salinai, accanto al canal Giassi, che comprende tre case ristrutturate: una casa ad un piano nella quale dimorava la famiglia dei salinai (ricostruita nelle sue sembianze originali), un magazzino per il sale raccolto, ed un antico forno a legna, peculiarità delle saline di Sicciole.


Val Rosandra


La Val Rosandra (riserva naturale regionale dal 1986 con circa 746 ettari di estensione)è situata nei pressi di Trieste tra il comune di San Dorligo della Valle e quello sloveno di ...

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Val Rosandra


La Val Rosandra (riserva naturale regionale dal 1986 con circa 746 ettari di estensione) è situata nei pressi di Trieste tra il comune di San Dorligo della Valle e quello sloveno di Erpelle-Cosina (Hrpelje-Kozina in sloveno), nella zona sud - orientale della provincia. Al centro della valle scorre il torrente Rosandra, che la rende anche l'unico ambiente del Carso triestino percorso da un fiume in superficie (fatto raro in zone caratterizzate dal fenomeno del carsismo). Il torrente sgorga nei pressi di Klanec (in Slovenia) e dopo 15 km sfocia nell'Adriatico nei pressi di Muggia.
L'eccezionalità naturalistica della riserva è data dalla molteplicità di ambienti presenti, dovuta al particolare aspetto morfologico della valle, i cui due versanti hanno caratteri geologicamente molto differenti: sul versante a nord est, soleggiato e caratterizzato da pareti verticali, predomina un clima caldo e mite; sull'opposto versante a sud ovest, in ombra ed esposto al vento, con grandi ghiaioni, prevale un clima freddo. L'area rappresenta una via preferenziale per la discesa della Bora dall'entroterra alla zona costiera.
A causa di queste situazioni microclimatiche quasi opposte, nella riserva sono presenti ambienti come la landa carsica e le pinete di pino nero, molte piante sia alpine che mediterranee che nei territori circostanti sono andate perse con le glaciazioni (come il cardo paonazzo e il centonchio granelloso, specie illirica rarissima), e numerose specie di animali (soprattutto rettili ed anfibi, la cui presenza all'esterno della valle è estremamente rara).
Oltre alla bellezze naturali che ne hanno fatto una delle mete preferite degli escursionisti triestini e non solo, la riserva è caratterizzata dalla presenza di numerose testimonianze di storia.

L'itinerario ha inizio dal parcheggio situato nei pressi del paesino di Bagnoli della Rosandra per proseguire verso l'abitato di Bagnoli Superiore (distante pochi minuti) da cui incomincia il sentiero vero e proprio, che nella parte principale si snoda lungo il torrente Rosandra.
Subito, sulla sinistra, si notano i resti dell'acquedotto romano risalente al I secolo d.C. L'opera, lunga ben 14 chilometri, approvvigionava la città di Trieste e funzionò per oltre 6 secoli, ma ancora nel 1700 doveva essere in buono stato se l'amministrazione comunale prese in considerazione un suo eventuale restauro per rifornire d'acqua potabile la città che stava crescendo velocemente. Proprio per la sua importanza, in epoca romana il manufatto e la strada adiacente erano difesi da vedette militari permanenti situate nelle grotte sui fianchi della vallata. Questi antri non sono mai stati abitati stabilmente, ma certamente sono stati usati per secoli come magazzini e stalle, e come riparo di fortuna per pastori e viaggiatori.
Sulla riva opposta del torrente si erge la struttura di uno dei tanti mulini che punteggiavano la valle, la quale costituiva l'unico collegamento di Trieste con il retroterra sloveno e oltre. Erano perlopiù adibiti alla molitura delle spezie che poi venivano trasportate, assieme al sale, dal porto di Trieste verso l'Europa centrale. Presso la foce del Rosandra, infatti, una volta si estendevano grandi saline, fonte di notevole ricchezza fino al tardo Medioevo e causa delle guerre secolari fra Trieste e la Serenissima Repubblica di Venezia. Nel 1757 ve ne furono ben 16, ma oggi ben poco rimane di queste costruzioni, devastate dal tempo, dall'incuria e dalle vicende belliche che sconvolsero questo territorio.
Dopo aver raggiunto e superato un tratto roccioso e panoramico, da cui si scorge un largo tratto del paesaggio selvaggio della valle, si giunge ad un bivio che conduce, attraverso una breve salita, alla chiesetta di Santa Maria in Siaris e al Cippo Comici.
La cappella, circondata da un paesaggio selvaggio e roccioso che spazia sulla valle sottostante fino al paese di Bottazzo, reca sul portale la data del 1647, ma è molto più antica essendo stata forse edificata sul sito una antichissima torre che fungeva da posto di guardia al sentiero sottostante lungo il quale passavano le carovane dei mercanti. I documenti storici accertano la presenza dell'edificio, che ha struttura rettangolare, con abside, portico e un piccolo campanile a vela, dal XIII secolo e ne attribuiscono la costruzione alla Confraternita del SS. Sacramento o "dei Battuti". Santa Maria in Siaris è meta di pellegrinaggi fin dal 1367, quando i membri della Confraternita che si erano resi colpevoli del peccato di bestemmia, avevano l'obbligo di ascendervi scalzi per fare penitenza ed essere assolti. Dopo l'ultimo restauro, avvenuto nel 1647, la chiesetta fu dimenticata e rovinata da atti vandalici. Negli ultimi decenni, molti triestini hanno ripreso l'antica consuetudine di salirvi in processione il 3 maggio, mentre le genti delle vicine campagne vi si recano in pellegrinaggio il 15 di agosto.
Il soprastante Cippo Comici, da cui si gode una bellissima vista sulla valle, è dedicato all'alpinista e speleologo triestino Leonardo Emilio Comici, che effettuò numerose scalate nelle Alpi Orientali, in particolare nelle Dolomiti (aprendo circa 200 vie nuove) e nelle Alpi Giulie.
Scegliendo di proseguire sul sentiero principale attraverso tutto il Canalone, si raggiunge la pittoresca cascata del torrente Rosandra, alta circa 40 m. Normalmente ricca d'acqua (nelle pozze sottostanti durante il periodo estivo è possibile fare il bagno) è particolarmente suggestiva durante gli inverni molto rigidi quando si ghiaccia.
Proseguendo il percorso, si raggiunge il borgo carsico di Bottazzo, risalente al XV secolo, con le sue caratteristiche case in pietra arenaria. L'abitato, sorto in rapporto ai molti mulini che popolavano la valle dal Medioevo fino alla metà del Novecento e ai terreni agricoli ottimi per la coltivazione, era l'ultimo avamposto del confine più chiuso d'Europa negli anni della Guerra Fredda.
Da Bottazzo è possibile rientrare attraverso il percorso di andata oppure risalire fino al tracciato della vecchia ferrovia a scartamento ordinario che collegava Trieste a Erpelle, costruita per volere dell'Impero Austro-Ungarico con lo scopo di collegare in maniera più diretta la città di Trieste a Vienna e all'Istria e realizzata tra il 1885 e il 1887. Con la ridefinizione dei confini delle nazioni europee in seguito alla prima guerra mondiale, passò sotto il dominio italiano, ma nel secondo dopoguerra la ferrovia si ritrovò divisa tra due stati: il Territorio Libero di Trieste e la Jugoslavia, il cui governo impedì ai convogli italiani di proseguire oltre la stazione di Sant'Elia. La linea venne dismessa nel 1961. La ciclabile, percorribile anche a piedi, tra San Giacomo e il confine italo-sloveno presso Draga Sant'Elia, (ma prosegue per altri 5 chilometri in Slovenia, terminando nei pressi di Cosina) è stata inaugurata il 16 ottobre 2010 ed è parte del percorso ciclabile europeo che collega Cadice ad Atene. Da qui è possibile ammirare l'intera Val Rosandra sottostante e, nei giorni di piena visibilità il golfo e la città di Trieste.
Sempre lungo il tracciato della ferrovia dismessa, si raggiungono le rovine del castello di Moccò, distrutto nel 1511 ma esistente già dal XII secolo e costruito dai vescovi di Trieste controllare l'importante Via del Sale che veniva utilizzata dai commercianti per trasportare il sale delle vicine saline nell'entroterra. Nel XVII secolo fu costruito nelle sue vicinanze il castello di Fünfenberg che fungeva da muda daziale, distrutto da un incendio alla fine della seconda guerra mondiale.
Dalle rovine di questo antico castello si ridiscende per ritornare al parcheggio di Bagnoli della Rosandra.


Riserva naturale marina di Miramare


La Riserva naturale marina di Miramare si trova nel golfo di Trieste, e si snoda tutt'attorno al promontorio di Miramare, ove sorge anche l'omonimo castello. Istituita nel 1986...

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Riserva naturale marina di Miramare


La Riserva naturale marina di Miramare si trova nel golfo di Trieste, e si snoda tutt'attorno al promontorio di Miramare, ove sorge anche l'omonimo castello. Istituita nel 1986, è la più vecchia riserva marina italiana; copre una superficie di 30 ettari ed è circondata da un tratto di mare di 90 ettari.
L'ambiente in cui è localizzata è un tratto marino-costiero, formato da roccia calcarea tipica del Carso che digrada in massi, ciottoli e formazioni fangose fino alla profondità massima di 18 metri.
La riserva, che comprende tre ambienti (zona di marea, zona di scogliera e fondali sabbiosi e fangosi), svolge un ruolo importante nella conservazione e protezione delle specie: nel corso delle immersioni in apnea o con autorespiratore, permesse solo in una piccola zona della riserva e con l'accompagnamento di guide esperte, è infatti possibile ammirare una fauna ricca e variegata, composta da piccoli pesci sacchetto, cefali, saraghi, branzini e molti crostacei e molluschi. La flora è rappresentata dall'ombrellino di mare, dalla quercia marina e da alghe come la coda di pavone e la lattuga di mare.
La sede operativa dell'Area Marina è ospitata all'interno del parco del castello di Miramare, in un edificio noto come il castelletto detto anche Gartenhaus, dove si trovano diversi acquari e una vasca tattile dove è possibile toccare alcune specie di invertebrati marini.
Il parco, con i suoi ventidue ettari di superficie, offre l'occasione di una passeggiata botanica di notevole interesse. I lavori per la sua realizzazione, furono seguiti personalmente da Massimiliano d'Asburgo, grande appassionato di botanica. Durante i suoi viaggi attorno al mondo, compiuti come ammiraglio della Marina Militare austriaca, l'arciduca raccolse e portò a Miramare molti esemplari di pregiate specie botaniche: abeti della Spagna e dell'India, cipressi della California e del Messico, e poi cedri del Libano e dell'Africa settentrionale, felci e lauri, sequoie, camelie e glicini cinesi.
Il parco è diviso in varie zone, ognuna con proprie peculiarità: la zona est ripropone il giardino all'inglese, con alberi alternati a spazi erbosi, sentieri tortuosi, gazebi e laghetti; uno splendido giardino all'italiana occupa la zona a sud ovest. Le antiche serre e i piccoli stagni, il "lago dei cigni" e le grotte umide dove crescono il capelvenere e la felce, le statue greche e romane completano questa splendida scenografia botanica.


Grotta Gigante


A pochi chilometri da Trieste, nel comune di Sgonico, sorge il piccolo paese di Borgo Grotta Gigante il cui nome è dovuto alla presenza della cavità turistica...

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Grotta Gigante


A pochi chilometri da Trieste, nel comune di Sgonico, sorge il piccolo paese di Borgo Grotta Gigante il cui nome è dovuto alla presenza della cavità turistica più grande del mondo, iscritta dal 1995 nel guinness dei primati
La Grotta Gigante, formata da due fiumi sotterranei che nel corso dei millenni hanno scavato la roccia calcarea, è costituita da un'immensa cavità (lunga 280 m., larga 65 e con una volta a cupola di 107 m.) in cui confluiscono, a varie quote, ampie gallerie, resti di un'antichissima rete fluviale abbandonata dalle acque alcuni milioni di anni fa. Fu abitata fin dal neolitico, come dimostrano alcuni rinvenimenti in loco, anche se solo saltuariamente e nella zona più accessibile della cavità, quella cioè sfruttata attualmente come uscita turistica della grotta.
Da questa apertura iniziò nel 1840 la prima esplorazione, effettuata Anton Federico Lindner nella speranza, rivelatasi inutile, di raggiungere il misterioso fiume sotterraneo Timavo nel tentativo di risolvere il problema della carenza d'acqua fattosi sempre più urgente a causa della rapida espansione di Trieste.
Negli anni seguenti l'esplorazione continuò da parte di coraggiosi speleologi triestini, ma solo nel 1890, dopo la scoperta di un secondo ingresso, venne intrapresa la ricognizione completa della grotta, mentre nel 1905 vennero iniziati i lavori per la realizzazione di rampe di scale che dall'apertura portassero al fondo della caverna.
L'apertura al pubblico avvenne con una cerimonia solenne nel luglio del 1908: la grotta venne illuminata da migliaia di candele, fanali ad acetilene e fiaccole, mentre la banda cittadina suonava un trionfale brano dal "Sigfrido".
La visita alla grotta inizia con la discesa di una lunga e ripida scalinata da cui si gode la visione grandiosa di stalattiti e stalagmiti che, attraverso una sapiente illuminazione, suggeriscono forme a cui gli speleologi, per analogia, hanno dato nomi evocativi come il palazzo delle ninfe, lo gnomo, la madonnina, il pulpito, la palma (alta quasi 7 m) e la colonna Ruggero, la concrezione più celebre che ha un'altezza di 12 metri e un diametro alla base di 4.
Lasciandosi alle spalle questa colonna si arriva alla sala dell'Altare, una caverna laterale caratterizzata da grandi stalattiti e da una vaschetta calcitica con acqua. Avvicinandosi all'uscita si può notare lo scheletro di un Ursus speleus risalente alla preistoria.
La Grotta Gigante è sito di importanti ricerche e ospita attrezzature scientifiche di grande importanza come i Pendoli Geodetici più lunghi del mondo (per monitorare i movimenti delle rocce della crosta del nostro pianeta, dalle maree terrestri ai movimenti tettonici delle placche, a impercettibili vibrazioni generate da terremoti).

L'accesso si trova all'interno del moderno Centro Accoglienza Visitatori, inaugurato nel 2005, che ospita anche il piccolo Museo dell'Uomo e delle Grotte.
Nel 2011 è stato inaugurato il rilievo a laser scanner che permette, anche alle persone disabili di visitare la grotta per mezzo di un filmato virtuale interattivo.


Foci del Timavo


La zona delle foci del Timavo, il fiume carsico per eccellenza e sicuramente il più misterioso, è un luogo carico di suggestioni naturali e di storia che spesso si confonde con la leggenda...

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Foci del Timavo


La zona delle foci del Timavo, il fiume carsico per eccellenza e sicuramente il più misterioso, è un luogo carico di suggestioni naturali e di storia che spesso si confonde con la leggenda.
Il suo intero corso è ancora sconosciuto: nasce alle pendici del Monte Nevoso, in Croazia e dopo circa quaranta chilometri scompare nelle Grotte di San Canziano (Skocjanske jame in sloveno). In questo suo percorso sotterraneo di circa 43 km, attraversa alcune cavità molto profonde e dai nomi allusivi: l'Abisso dei Serpenti, l'Abisso di Trebiciano, il Pozzo dei Colombi. Alla fine riaffiora, con tre sorgenti allineate lungo una cinquantina di metri, a San Giovanni di Duino per poi tuffarsi, dopo appena tre km, nel golfo di Trieste.
L'ambiente naturale che avvolge le foci del Timavo risulta molto suggestivo: placidi paesaggi fluviali dalle rive verdi e ombreggiate da altissimi pioppi, si intersecano con scorci selvatici e solitari, dove l'acqua del fiume si confonde con quella marina formando rialzi di sabbia scura e di alghe disseccate.
Il numero delle sorgenti sembra essere cambiato nel corso della lunga storia di questo fiume enigmatico e affascinante. Nel I secolo a.C. il geografo greco Strabone così scrive: "Il Timavo vi ha un porto, un bosco sacro bellissimo e sette bocche, con sette corsi che confluiscono in un solo fiume, largo e profondo", mentre Virgilio, nel primo libro dell'Eneide, lo descrive mentre scende, con impressionante mormorio, ad allagare le campagne attraverso le sue nove bocche. Si ritorna a sette bocche nel 1556 quando il vescovo Andrea Rupicio scriveva: "Ecco gli stagni del Timavo; donde bello a vedersi fresche e cristalline da sette gorghi fuor sboccano le acque".
La prima bocca, la più spettacolare per l'acqua che fuoriesce direttamente dalla roccia, si apre nei pressi della chiesa di San Giovanni in Tuba, costruita sulle ceneri di luoghi di culto precedenti: un bosco sacro dedicato a Diomede dove correvano cavalli bianchi e, in seguito, un tempio dedicato alla divinità romana Spes Augusta. Le tre lapidi votive incastonate nell'abside dell'attuale chiesa provengono probabilmente da quella primigenia basilica paleocristiana costruita per accogliere le reliquie di Giovanni Evangelista e di Giovanni Apostolo. Da questa sua funzione di ultima dimora per le sacre reliquie il toponimo del luogo, noto come San Giovanni in Tuba, dal latino tumba. All'interno dell'edificio si conservano mosaici risalenti al V secolo. Accanto alla chiesa paleocristiana fu costruito un monastero benedettino, frequentato dai pellegrini, ma entrambi gli edifici furono distrutti dalle scorrerie degli Ungheri. In un'aiuola alla sinistra della chiesa c'è una lapide che reca l'iscrizione: nume Temavo suscepto: la lapide del I secolo a.C. fu dedicata al nume Timavo da un ignoto offerente. La leggenda vuole fosse proprio in questo luogo che gli Argonauti rimettessero in acqua le imbarcazioni, dopo averle portate a spalla attraverso i monti, una volta fuggiti dalla Colchide risalendo l'Istro, oggi Danubio, per giungere fino a Nauporto.
Ma le tracce storiche rimandano la frequentazione di questi luoghi ad un periodo molto più antico: in una breccia ossifera a pochi passi dall'abitato del Villaggio del Pescatore sono stati rinvenuti i resti fossili di due scheletri di Adrosauro (un particolare tipo di sauro dal muso a becco d'anatra, vissuto circa 80 milioni di anni fa) e numerosi altri fossili di animali che oggi vivono in zone tropicali.
In epoca preromana, le popolazioni celtiche utilizzarono la zona delle foci del Timavo come insediamento portuale. Lo storico Tito Livio indica questa area come un ampio bacino costiero delimitato da un cordone litoraneo costituito da isolotti, le Insulae Clarae, su cui insistevano ville patrizie, porti e attività commerciali favorite dalla vicinanza con la via Gemina che metteva in comunicazione Aquileia con Tergeste per poi proseguire verso Emona, l'attuale Lubiana. Nelle vicinanze di San Giovanni in Tuba, infatti, fu scoperta una mansio adibita a stazione di cambio dei cavalli e riprodotta nella Tabula Peutingeriana, copia duecentesca del sistema viario dell'Impero.
A circa due chilometri dalle fonti del Timavo, in direzione di Duino, si trova un'altra testimonianza preziosa della presenza romana. Si tratta della grotta del dio Mitra, una cavità naturale in cui si praticava il culto misterico di questo dio particolarmente venerato dai soldati e diffuso nel mondo romano dalla fine del I secolo sino al trionfo del cristianesimo. Al centro della grotta si trovano due banconi paralleli e tra di essi un blocco di calcare, squadrato, su cui veniva spezzato il pane durante le cerimonie religiose, mentre sulla parete di fondo si ammira il calco di una lapide raffigurante il dio Mitra mentre uccide il toro primigenio. Questo mitreo è l'unico, in tutto il mondo, ad essere situato in una grotta ed è uno dei più antichi mai scoperti.
Anche la Repubblica di Venezia si avvalse della posizione strategica della zona del Timavo per i propri traffici: su un isolotto che era situato nel centro della zona della foce (oggi completamente scomparso perché inglobato nella linea di costa) venne costruito un fortilizio chiamato Belforte, che cadde in rovina già agli inizi del '500.
Ulteriori testimonianze storiche confermano l'importanza rivestita da questa zona anche in epoche molto più recenti: il bosco Cernizza, o Parco dei Cervi, utilizzato fino al diciannovesimo secolo come riserva ad uso venatorio dei signori del castello di Duino, e il Villaggio del Pescatore, borgo sorto nel secondo dopoguerra quale centro per ospitare i profughi dell'esodo da Istria e Dalmazia.

Sentiero Rilke


La "passeggiata duinese", meglio conosciuta come sentiero Rilke, uno degli itinerari più suggestivi del Carso triestino, congiunge le località di Duino e Sistiana. È intitolato al praghese Rainer Maria Rilke...

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Sentiero Rilke


La "passeggiata duinese", meglio conosciuta come sentiero Rilke, uno degli itinerari più suggestivi del Carso triestino, congiunge le località di Duino e Sistiana. È intitolato al praghese Rainer Maria Rilke, uno dei massimi poeti mitteleuropei del Novecento che qui trovò ispirazione per le sue Elegie duinesi al tempo in cui visse, ai primi del Novecento, ospite del castello dei principi Thurn und Taxis.
Questa sorta di terrazza naturale, che costeggia la Riserva naturale delle Falesie di Duino (per falesia si intende una costa rocciosa con pareti a picco, alte e continue), si snoda per una lunghezza di oltre due chilometri e offre la possibilità di un percorso unico nel suo genere in tutto il Mediterraneo.
Da questa altezza la vista spazia verso la baia di Sistiana, una delle più belle e suggestive dell'alto Adriatico; la baia di Duino, con i due splendidi castelli ricchi di storia e di leggende; le contorte forme del calcare modellate dall'erosione; le pareti a picco sul mare; nelle giornate più limpide lo sguardo può spingersi sino alle prealpi carniche, alla laguna di Grado, alle Dolomiti e alla costa istriana.
Durante il percorso, si incontrano quattro belvederi, da cui si può ammirare la suggestiva bellezza del paesaggio circostante. Queste piazzuole, aperte verso il vuoto, sono il risultato del riadattamento delle postazioni di artiglieria che proteggevano le flotte all'ormeggio di Sistiana; sotto si aprono dei bunker, uno dei quali riattato e visitabile come museo.
Dopo un tratto di circa 400 metri ci si imbatte in una vasta pietraia (che forma il primo belvedere) dove la vegetazione è molto rada con prevalenza di cespugli di sommacco nei quali si può nascondere un abitante pericoloso del sentiero: la vipera cornuta. Molto più graziosi e del tutto innocui gli altri animali che si incontrano lungo il percorso, come l'algiroide magnifico (piccola lucertola divenuta il simbolo della Riserva Regionale delle Falesie di Duino) e il riccio orientale.
Dal punto di vista della vegetazione, molte sono le specie presenti: il leccio, la ginestra, il viburno, la centaurea fronzuta e la campanula piramidale.
Proseguendo si raggiunge il punto più alto del percorso, a quota 86, cioè una delle piazzole costruite durante la Seconda Guerra Mondiale, in cui vi era collocato un cannone antiaereo tedesco per la difesa della base di sommergibili di stanza nella baia di Sistiana. Qui il tracciato abbandona il ciglione roccioso per addentrarsi nel vicino bosco a pineta per poi tornare nuovamente sulla linea che costeggia il mare.
Anche la galleria che si incontra successivamente è un manufatto bellico dell'ultima guerra: scavata dai tedeschi, serviva da deposito per le munizioni e come ricovero per i soldati. Da qui si sale al secondo belvedere, che regala una stupenda vista sul mare, come pure la terza posizione panoramica (in origine anch'essa un osservatorio militare), distante circa 200 metri. Le coste rocciose ospitano una ricca avifauna, tra cui il piccione selvatico, la taccola, il corvo imperiale, il passero solitario ed il falco pellegrino.
Dal quarto belvedere si ammira il castello di Duino e l'intera laguna di Grado.
Il sentiero Rilke è stato ripristinato nel 1987, attraverso un importante lavoro di recupero, dopo essere rimasto a lungo in stato di abbandono.

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